Uno studio, condotto dal Dartmouth College nel New England (Usa), ha rivelato che pesce e frutti di mare, in particolare gamberetti e aragoste, sono una fonte sottostimata di esposizione ai Pfas
Una nuova ricerca, condotta da esperti della Geisel School of Medicine presso il Dartmouth College negli Usa, rivela una fonte spesso sottovaluta di Pfas. Si tratta di alimenti che provengono dal mare, apparentemente sicuri ma che in realtà possono nascondere una minaccia invisibile, appunto una contaminazione da parte delle ormai note e onnipresenti sostanze perfluoroalchiliche.
Ci riferiamo in particolare a frutti di mare e pesce che lo studio, pubblicato sulla rivista Exposure and Health, ha rilevato essere una fonte significativa di esposizione ai Pfas, soprattutto nelle regioni costiere come il New England (presa a campione dello studio).
Naturalmente, questa scoperta solleva preoccupazioni fondamentali sulla sicurezza alimentare e la salute pubblica, suggerendo la necessità di nuove e più rigorose linee guida sul consumo di pesce.
Secondo il professor Megan Romano, autore principale dello studio, la ricerca ha evidenziato una lacuna significativa nella comprensione dell’esposizione umana ai Pfas. Mentre molte ricerche si concentrano sui livelli di Pfas nelle acque dolci (senza dubbio fondamentali e da conoscere), il nuovo studio ha analizzato le concentrazioni di queste sostanze nel pesce e nei frutti di mare che pure consumiamo con una certa regolarità (soprattutto se viviamo vicino al mare).
Gli esperti hanno misurato i livelli di 26 Pfas in diverse specie marine, tra cui merluzzo, eglefino, aragosta, salmone, capesante, gamberi e tonno. I risultati hanno mostrato che sono soprattutto alcune specie a registrare concentrazioni particolarmente elevate di Pfas.
Secondo quanto scoperto, i gamberetti e le aragoste hanno concentrazioni più elevate di Pfas, registrando rispettivamente medie fino a 1,74 e 3,30 nanogrammi per grammo di carne. Al contrario, le concentrazioni dei singoli Pfas in altre varietà di pesci e frutti di mare sono state generalmente inferiori a un nanogrammo per grammo.
Perché alcune specie sono più contaminate da Pfas, rimane ancora da chiarire. Attualmente, non si sa di preciso come queste sostanze chimiche entrino nella catena alimentare marina e dove si accumulino nello specifico.
Probabilmente, alcuni molluschi sono particolarmente suscettibili all’accumulo di Pfas nella carne a causa delle loro abitudini alimentari e della loro vita sul fondo marino. Questa vulnerabilità potrebbe essere accentuata dalla vicinanza dei molluschi a fonti di Pfas nei pressi della costa. Inoltre, le specie marine più grandi potrebbero accumulare Pfas ingerendo specie più piccole, come appunto i molluschi.
La preoccupazione per l’esposizione a queste sostanze è ben fondata, sono state infatti associate ad una serie di gravi problemi di salute, tra cui cancro, anomalie fetali, colesterolo alto e disturbi della tiroide, del fegato e della riproduzione.
Considerando che i Pfas sono quasi onnipresenti nell’ambiente, la loro presenza nei frutti di mare rappresenta un ulteriore problema, soprattutto per le persone che vivono lungo le coste dove il consumo di pesce è più diffuso e frequente.
Tuttavia, nonostante la rilevanza di questa scoperta, attualmente non esistono linee guida per il consumo sicuro di frutti di mare in relazione ai Pfas e questo preoccupa gli studiosi, in particolare per le fasce di popolazione più vulnerabili come le donne incinte e i bambini.
Per affrontare questa sfida, gli esperti raccomandano l’implementazione di linee guida di sicurezza per il consumo di frutti di mare, simili a quelle già esistenti per il mercurio e altri contaminanti. Queste linee guida aiuterebbero a proteggere le persone particolarmente sensibili agli agenti inquinanti.
Come ha dichiarato Celia Chen, coautrice dello studio e professoressa di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Biologiche di Dartmouth:
È noto che le principali specie predatrici come il tonno e gli squali contengono alte concentrazioni di mercurio, quindi possiamo usare questa conoscenza per limitare l’esposizione. Ma è meno chiaro per i PFAS, soprattutto se si inizia a osservare come i diversi composti si comportano nell’ambiente.
Dunque, c’è ancora molto da capire – e soprattutto da fare – per limitare l’esposizione ai Pfas attraverso pesce e frutti di mare.
Fonte: Exposure and Health
FONTE: Greenme (Francesca Biagioli)
(ENGLISH VERSION)
A study, conducted by Dartmouth College in New England (USA), revealed that fish and seafood, particularly shrimp and lobsters, are an underestimated source of exposure to Pfas
New research, conducted by experts at the Geisel School of Medicine at Dartmouth College in the US, reveals an often underestimated source of Pfas. These are foods that come from the sea, apparently safe but which in reality can hide an invisible threat, namely contamination by the now well-known and omnipresent perfluoroalkyl substances.
We are referring in particular to seafood and fish which the study, published in the journal Exposure and Health, found to be a significant source of exposure to PFAS, especially in coastal regions such as New England (taken as a sample of the study).
Naturally, this finding raises fundamental food safety and public health concerns, suggesting the need for new, more stringent guidelines on fish consumption.
According to Professor Megan Romano, lead author of the study, the research highlighted a significant gap in understanding human exposure to PFAs. While much research focuses on the levels of Pfas in freshwater (undoubtedly fundamental and worth knowing), the new study analyzed the concentrations of these substances in the fish and seafood that we also consume with a certain regularity (especially if we live near at the sea).
Experts measured levels of 26 Pfas in several marine species, including cod, haddock, lobster, salmon, scallops, shrimp and tuna. The results showed that it is above all some species that record particularly high concentrations of Pfas.
According to the findings, shrimp and lobsters have higher concentrations of Pfas, recording averages of up to 1.74 and 3.30 nanograms per gram of meat respectively. In contrast, concentrations of individual Pfas in other varieties of fish and seafood have generally been less than one nanogram per gram.
Why some species are more contaminated with Pfas still remains to be clarified. Currently, it is not known precisely how these chemicals enter the marine food chain and where specifically they accumulate.
Probably, some molluscs are particularly susceptible to the accumulation of Pfas in their meat due to their eating habits and their life on the seabed. This vulnerability may be accentuated by the proximity of molluscs to sources of Pfas near the coast. Furthermore, larger marine species could accumulate Pfas by ingesting smaller species, such as molluscs.
Concern about exposure to these substances is well founded, as they have been associated with a number of serious health problems, including cancer, fetal anomalies, high cholesterol and thyroid, liver and reproductive disorders.
Considering that Pfas are almost omnipresent in the environment, their presence in seafood represents a further problem, especially for people living along the coasts where fish consumption is more widespread and frequent.
However, despite the relevance of this discovery, there are currently no guidelines for the safe consumption of seafood in relation to Pfas and this worries scholars, particularly for the most vulnerable population groups such as pregnant women and children.
To address this challenge, experts recommend implementing safety guidelines for seafood consumption, similar to those that already exist for mercury and other contaminants. These guidelines would help protect people who are particularly sensitive to pollutants.
As Celia Chen, study co-author and research professor in Dartmouth’s Department of Biological Sciences, said:
Major predator species such as tuna and sharks are known to contain high concentrations of mercury, so we can use this knowledge to limit exposure. But it’s less clear for PFAS, especially if you start looking at how different compounds behave in the environment.
Therefore, there is still a lot to understand – and above all to do – to limit exposure to PFAS through fish and seafood.
Source: Exposure and Health
SOURCE: Greenme (Francesca Biagioli)
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